Blog tour “Celeste imperfetto” – Seconda tappa, intervista all’autore

Il Blog Toru di oggi ospita l’intervista a Fabio Falugiani, autore di “Celeste imperfetto”

FABIO FALUGIANI è nato a Firenze nel 1969 da padre mugellano e madre fiorentina, vive a Monsummano Terme. Innamorato del greco e del latino e di molti autori classici, si avvicina al Novecento grazie a Vasco Pratolini, romanziere fiorentino tanto letto e amato e di cui, un giorno, sogna di curare l’opera omnia. Ha lavorato per vent’anni nel mondo del commercio e della Grande Distribuzione, un’esperienza poliedrica che lo ha visto falegname, addetto vendite, direttore, manager e perfino gelatiere. Attribuisce alla musica un potere evocativo straordinario che, liberamente filtrato dalla memoria, ne fa uno degli strumenti più profondi della conoscenza del proprio Io. Celeste Imperfetto è il suo primo romanzo.

Cominciamo dal titolo, perché “Celeste imperfetto”?

La maggior parte dell’azione del romanzo si svolge a Firenze. La bellezza della città è in qualche modo coinvolta nel messaggio della storia, è un’allegoria, una metafora di tanta parte di ciò che è stato scritto. Firenze, le sue dolci colline, i mirabili progetti di Brunelleschi e di Giotto, le torri campanarie del Bargello, della Badia, di Santa Croce, i Lungarni con i suoi gentili palazzi e poi quella parte di cielo “fortunata” perché si specchia in tanta meraviglia. Tutto indica un valore, la natura, Dio e l’opera dell’uomo indicano dei valori, in alto nel cielo, e in basso tra gli uomini, e soprattutto mostrano una perfezione assoluta.

Il protagonista vive immerso in cotanta bellezza, si muove da qualche parte sotto i tetti della città, quella è la sua casa, ma il mondo non gli mostra solo la perfezione, anzi gli rimanda tutto ciò che ha di imperfetto. Imperfette sono le persone che incontra, le parole che gli insegnano, imperfette sono le sue azioni e quelle degli altri, dovunque si volti trova imperfezione, e imperfette paiono le dure leggi di Dio e della natura.

Nella quarta di copertina leggiamo: «Dio esiste, gli uomini sono buoni e il denaro non è importante.» Nessuno oggi può partire da queste considerazioni senza pagare pegno, non trova?

Il romanzo mette a nudo, nel percorso della maturazione del protagonista, una serie di valori “alterati” nella società di oggi. Valori importanti che non corrispondono ai tratti teorici dell’educazione avuta dalla scuola, in famiglia e in generale dalla stessa società. Per comprendere meglio come la società si comporta porto sempre un esempio: è come se si percorresse una strada per andare in un luogo, noi siamo su una stradina stretta e piena di curve e sappiamo che la via corretta è una parallela larga, dritta e panoramica a fianco della nostra. Tutti ci indicano la strada giusta; i cartelli, le piantine,le mappe e perfino le persone a cui chiediamo da che parte andare. Eppure la strada, bella e veloce, è vuota, è lì parallela alla tua, la vedi, vedi le entrate, i caselli, tutto predisposto, ma nessuno la percorre. Sappiamo solo che è la strada giusta ed è lì perché nessuno la prenda. Tutti ti dicono che ci andranno, ma è sempre vuota. La tua stradina invece è piena di gente. Mettono la freccia, ti fanno cenno che andranno sulla strada opportuna, ma quando sarebbe il momento di voltare, tutti restano su quella sbagliata. Finché non ricominceremo a credere nelle strade giuste e a frequentarle, continueremo a sprofondare. In questo il mio è un romanzo catartico, si tocca il fondo nella sporcizia del mondo per poi venire alla luce nuovamente, o si tenta di farlo.

È un romanzo che parla di donne, anzi intorno al protagonista ruotano decine di figure femminili, in un interminabile dedalo di casualità, affetti, pianti, risa. A tratti sorge una vena maschilista, in altri casi vi è una dominazione incontrastata della donna, in realtà cosa rappresenta il “femminile” in questo romanzo?

Tutto parte dalle sensazioni del protagonista: Giovanni. Egli si accorge che gli altri sono spesso un mistero, un mondo sconfinato e sconosciuto e si rende conto che questo vale soprattutto per le donne; esse sono davvero un territorio splendido, ma selvaggio, a tratti spaventoso. Cosa hanno le donne per essere così diverse dall’uomo? In genere hanno una caratteristica peculiare: fanno quasi sempre quello che dicono, sono coerenti, e in loro tra teoria e pratica non c’è molta differenza. Questa forbice nell’uomo si allarga. Giovanni ama le donne, ma si chiede cosa significa amare una donna. Amarla veramente. Più crede di amarle e di possederle, più si rende conto di essere inabile a farlo e gli sfuggono come volesse stringere acqua nel pugno della mano. È molto difficile amare una donna, occorrono coraggio, forza, dedizione, ci vogliono cose che in un uomo giovane, soprattutto, latitano. Dunque la sua vita non è azione vera e propria, ma una specie di tentativo continuo di riuscire a entrare in una capsula di vetro in cui all’interno la donna si muove in modo diverso da lui, e pur vedendola in trasparenza, il cristallo li divide e non gli permette di sentirsi mai un tutt’uno con la presupposta donna di turno. E il fatto che ci sia una turnistica fitta, già è segno che qualcosa non funziona. In questa eterna sfida e lotta, il romanzo si dipana.

Leggendo si comprende che tanta parte nella coscienza dell’autore abbiano la letteratura e la musica; in quasi ogni capitolo affiorano reminiscenze, osservazioni, tratti in cui il canto spinge la narrazione a un tipo di liricità delicata. C’è un motivo preciso su questa scelta dell’autore?

Il protagonista si rende conto che molti desideri e sogni non sono realizzabili nella propria vita. Allora che fare? Ci sono delle vie di fuga? Degli escamotages? Certo che ci sono, poiché gli uomini si somigliano, tutti hanno lo stesso problema e dovunque troviamo tentativi di soluzioni. Giovanni crede di risolvere l’empasse con una forma di ribellione culturale che sfocia nello studio profondo della letteratura e poi nella musica classica, due colonne portanti che può usare come fondamenta della sua personalità e del suo carattere (come fossero due stampelle). Letteratura e musica non cambiano, sono lì da sempre, le troviamo come le lasciamo, e i loro valori sono gli stessi nel tempo. Solidi, inscalfibili, non sono fatte della stessa flebile materia dei sogni. Mozart sarà sempre Mozart, Dante sarà sempre Dante, non cambieranno idea, e così tutti gli altri.

Scoprirà che anche questa non è la risposta giusta e nemmeno la letteratura e la musica possono salvarlo, anzi, l’arte è isolamento, solitudine, non risolve il problema, lo fa dilagare in maniera irreversibile, lo cristallizza dentro di noi. I poeti e i musicisti avevano gli stessi suoi problemi che erano problemi di società e di comunicazione proprio come i suoi. Beethoven comunicò le cose migliori quando si isolò dal mondo con la sordità. Un paradosso, ma forse no. Anche questa sarà una comprensione tardiva per il nostro protagonista che penerà molto prima di arrivare ad accettarsi così com’è.

C’è una parte del romanzo alla quale è particolarmente affezionato?

All’incipit. Il romanzo comincia con un sogno, una scena in cui il protagonista spera di trovarsi immerso continuamente. C’è una casa, dei figli, una moglie, un giardino da tenere e un caffè, che vuol dire fermarsi mentre si osserva quello che si è costruito. Intorno a questo sogno il romanzo vive e muore senza mai cedere alla vita e alla morte. Tutta la semplicità del sogno si trasforma in un’angosciosa difficoltà nel raggiungerlo, o almeno nel viverlo come davvero si vorrebbe. In questo “Celeste imperfetto” è crudele, spietato e non risparmia niente neanche al lettore. Soprattutto sul finale quando le cose in qualche modo si rovesciano e, fino all’ultima parola, non si sa dove cadono.

Alla fine, di cosa parla il suo romanzo, se dovesse dirlo con poche parole?

Della continua ed estenuante lotta del protagonista contro l’eterna e implacabile dissoluzione di tutte le cose.

Prima di concludere vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa?

Sì. Tanto.

Allora la dica…

Vorrei riportare una frase molto importante per me che è scritta nel romanzo:

«Era la misericordia l’unica forma di potere che avevamo il diritto di esercitare…».

Non aggiungo altro se non il soggetto della frase: “noi esseri umani”.

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2 thoughts on “Blog tour “Celeste imperfetto” – Seconda tappa, intervista all’autore

  • dicembre 14, 2017 at 4:37 pm
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    Intervista interessante e perfettamente impostata per far apprezzare al meglio l’opera e l’autore.

  • dicembre 14, 2017 at 5:39 pm
    Permalink

    Si nota una profonda compenetrazione dell’autore nel personaggio da lui “inventato”. Pur non trattandosi di un’intervista vocale, si percepisce la sua voce accorata, l’innamoramento che prova verso la sua creatura, il tifo che egli fa per il bene e la bellezza nel senso classico del termine, sulla modernità problematica ed effimera. Ottima presentazione per un auspicabile acquisto!

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